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Tiahuanaco

Tempio di Kalasasaya

Tiahuanaco è un’antica quanto affascinante città che si trova sull’altopiano andino nei pressi della sponda sud-orientale del lago Titicaca, a circa 72 km a ovest di La Paz in Bolivia.
Della città, che sorge su un esteso sito archeologico di circa 450.000 mq, rimangono le ciclopiche rovine, costruzioni monolitiche di cento tonnellate e più che da migliaia di anni resistono ai cambiamenti climatici.
Tutt’oggi rimane un mistero il modo in cui la popolazione dell’epoca sia riuscita a tagliare perfettamente enormi pietre, a trasportarle e a collocarle a circa 60 chilometri dalle cave.
Il primo occidentale a visitare Tiahuanaco fu lo scrittore spagnolo Pedro Cieza de Leon nel 1549. Il suo libro “La cronica del Perú” scritto nel 1553 riporta: “Tiahuanaco non è una città molto grande, però è formata da edifici in pietra memorabili, circondati da mura ciclopiche. Nella città vi sono varie statue di idoli alte più della figura umana, tanto che sembra siano state scolpite da grandi maestri. La mia conclusione è che questa città sia la più antica di tutto il Perú.  Qui si dice che prima che il popolo Incas regnasse, questi edifici fossero già costruiti. Ho sentito dire che le mura e gli edifici del Cusco sono stati fatti a somiglianza di questi, ma nessuno è stato in grado di dirmi chi in realtà costruì Tiahuanaco.”
Dinnanzi alle rovine di Tiahuanaco si stupirono anche i conquistadores spagnoli che nel XVI secolo ne descrissero le bellezze nei loro resoconti.
“In un titanico palazzo vi è una sala lunga 14 metri, larga sette, con grandi portali e molte finestre. Gli indigeni dicono che è il tempio di Viracocha, il creatore del mondo” (Cieza de Leon).
“C’è un palazzo che è l’ottava meraviglia del mondo, con pietre lunghe 11 metri e larghe cinque, lavorate in modo da incastrarsi l’una nell’altra, senza vederne la connessione” (Jimenes de la Espada).
Nel XX secolo Arthur Posnansky (archeologo e ingegnere austriaco del 1873) fu il primo scienziato a interessarsi per lunghi anni alle rovine di Tiahuanaco.
Concluse dai suoi studi che la civiltà che fondò la città risaliva a circa 15000 anni prima di Cristo.
Nel 1945 scrisse un libro “Tiahuanaco, la culla dell’uomo americano”, un testo molto dettagliato e complesso che fu il frutto di circa 50 anni di ricerche, molto utile per chiunque avesse voluto conoscere in maniera approfondita il grande sito archeologico andino.
Nella prima parte Posnansky riportò la sua teoria sulla fondazione di Tiahuanaco.
Secondo l’archeologo la storia della sua fondazione interessò tre periodi di cui almeno i primi due furono antidiluviani.
Nel libro Posnansky riportò un’attenta descrizione dell’iconografia dei simboli della città prestando particolare attenzione a quelli scolpiti sulla Porta del Sole, uno dei più importanti monumenti di Tiahuanaco, il monolite più imponente fra quelli conosciuti al mondo presentava l’immagine del dio della creazione del mondo Viracocha che impugnava due scettri. Sulla Porta erano presenti anche altre raffigurazioni, immagini di animali estinti da 12000 anni e simboli che secondo l’archeologo rappresentavano un calendario di 12 mesi.
Per determinare la data del secondo periodo in cui fu fondata Tiahuanaco Posnansky portò avanti uno studio archeoastronomico sul tempio di Kalasasaya, una costruzione rettangolare lunga 128,74 metri e larga 118,26 metri.
Il tempio elevato su una piattaforma fu costruito seguendo linee astronomiche per poter essere probabilmente utilizzato come un osservatorio.
Nel tempio era presente una grande statua di arenaria rossa che rappresentava un idolo alto circa otto metri, era coperto di simboli come lo erano altre statue del luogo.
I simboli furono studiati accuratamente da Posnansky che giunse alla conclusione che gli abitanti di Tiahuanaco possedevano una buona conoscenza astronomica della sfericità della Terra.
Secondo l’archeologo le più antiche strutture che risalivano all’epoca antidiluviana del primo periodo erano la piramide di Akapana, il templete subterraneo e la Porta del Puma (Puma Punku).
Posnansky pensava che Tiahuanaco nel primo e secondo periodo si trovasse a circa 300 metri più in basso rispetto ai suoi odierni 3843 metri sul livello del mare. Gli studi portati avanti dall’archeologo confermavano che Tiahuanaco era stata una città portuale che si affacciava sul lago Titicaca come riportavano antiche storie del luogo.
Non si hanno prove certe di ciò che accadde in seguito. Probabilmente verso il 10000 avanti Cristo ci fu un cataclisma e la città fu quasi del tutto distrutta, seppellita dal fango sotto una coltre di 21 metri. A causa del disastro il lago Titicaca si ritrasse di circa 30 chilometri.
Col passare del tempo tornò alla luce ciò che era rimasto dell’antica imponente città ma verso il XII secolo dopo Cristo crollò per ragioni tuttora ignote.
I calcoli sulla datazione di Tiahuanaco fatti da Posnansky non convinsero i moderni archeologi certi che presentassero degli errori. Ciò indusse il famoso archeologo americano Neil Steede a ricontrollare gli scritti di Posnansky e dopo un’attenta analisi affermò:“Grazie agli strumenti astronomici più precisi che oggi abbiamo a nostra disposizione, possiamo dire che la datazione reale di Tiahuanaco risalga a dodicimila anni fa e questo dovrebbe far riflettere tutti noi sulla vera origine della civiltà”.
Secondo gli scritti di Manuel Gonzalez De La Rosa, sacerdote e storico peruviano del 1841, il nome originario di Tiahuanaco era Chucara e in tempi assai remoti era una città sotterranea, in superficie c’erano solo il villaggio degli operai e il cantiere per tagliare le pietre.
Leggende e storie sulla città di Tiahuanaco sono sopravvisute nel tempo fino ad arrivare ai giorni nostri.
I pescatori che erano soliti recarsi verso il lago Titicaca raccontavano che durante i periodi di siccità era possibile “toccare i tetti dei palazzi sommersi”.
Nel 1967 furono organizzate spedizioni subacque nel lago per cercare delle prove concrete. Sul fondo i sub trovarono immense muraglie e sotto costa c’erano antiche strade e dighe. Tantissimi furono gli oggetti ritrovati fra cui ceramiche, urne, figure di animali come il puma, tutti appartenenti al periodo Inca e pre-Inca.
Tiahuanaco nasconde ancora molti tesori sotto la sua superficie. Recentemente sono state fatte scansioni con il georadar che hanno segnalato la presenza di una piramide e di “anomalie” nel sottosuolo che potrebbero essere altre strutture.
Secondo Ludwig Cayo direttore del Centro di Ricerca Archeologica di Tiahuanaco gli scavi per portare alla luce la piramide dovrebbero cominciare quest’anno appena si raggiungeranno gli accordi fra le varie università e istituti stranieri che collaboreranno con esperti di archeologia.
Cayo ha affermato :«Esploreremo la zona di Kantatallita (71 km ad ovest di La Paz), ad ovest della piramide Akapana. È lì che abbiamo individuato una piramide sepolta di tre livelli».

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The Bloop

Nel 1997 il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’ente americano che si occupa dello studio del clima e degli ecosistemi marini, registrò nelle profondità dell’Oceano Pacifico al largo delle coste sudamericane, un misterioso suono noto come “The Bloop”.
Tale suono possedeva una bassissima e potente frequenza che secondo fonti ufficiali “saliva rapidamente in frequenza nel giro di un minuto e aveva un’ampiezza sufficiente da essere sentito da più sensori nel raggio di oltre 5.000 chilometri. La fonte del suono rimane ignota.”
Il dottor Christopher Fox, del NOAA, dichiarò che l’origine del suono non era artificiale, ne poteva essere causato da un fenomeno geologico come un terremoto.
Passando alcuni mesi a studiare la natura del suono Fox maturò l’idea che potesse essere stato causato dal distacco di un grande iceberg dal continente antartico.
Quella di Fox è una versione tutt’oggi sostenuta dal NOAA, l’iceberg probabilmente si trovava fra lo Stretto di Bransfield e il Mare di Ross o vicino Capo Adare.
Secondo alcuni studiosi il suono poteva essere stato emesso da un calamaro gigante ma il biologo marino Phil Lobel della Boston University escluse tale possibilità poichè i calamari essendo sprovvisti di una sacca piena di gas non potevano produrre quel tipo di rumore, Lobel non escluse però che il suono potesse essere di origine biologica.
Il Bloop era un suono molto più forte di quello emesso dalla balenottera azzurra, l’animale più grande fra quelli conosciuti, il mammifero con il verso più potente.
Una singolare coincidenza non sfuggì ad alcuni lettori di Howard Phillips Lovecraft (scrittore, poeta, critico letterario e saggista statunitense del 1890).
Nel famoso romanzo “Il richiamo di Cthulhu” scritto nel 1926, Lovecraft narrò di una città sommersa nell’Oceano Pacifico, R’lyeh, in cui era imprigionata una gigantesca creatura marina che poteva emettere un suono in grado di estendersi per migliaia di chilometri attraverso l’oceano. L’origine del Bloop si trovava a circa 1760 chilometri dal luogo della città immaginata da Lovercraft.

La spiegazione più plausibile sembrò quella rilasciata dal NOAA, ma l’unica cosa certa è che il 95% degli oceani della terra rimangono tutt’oggi inesplorati e pieni di specie marine ancora sconosciute.

 

Nel video il suono del Bloop.

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Auguri!

Prendendo spunto dalla serenità che trasmette questo delizioso personaggio Disney che ho disegnato per mia madre, auguro agli amici di blog un felicissimo Natale e un anno nuovo pieno di belle novità! 

Un grande abbraccio a tutti voi!! 

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Derinkuyu

La Cappadocia, una regione della Turchia, ha una formazione geologica principalmente composta da tufo, ciò ha consentito all’uomo di ricavare le sue abitazioni dalla roccia creando insediamenti rupestri che formano singolari paesaggi.
Nel 1963 a Derinkuyu, una città della Cappadocia, in seguito ad una ristrutturazione ci fu una grande scoperta. Aprendo la parete di una grotta venne alla luce un passaggio che portava verso un’antica città sotterranea che si trovava a circa 85 metri di profondità, la più grande della Turchia, più vasta di quella che era stata scoperta sotto la vicina  Kaymakli.
La presenza di queste grandi città sotterranee probabilmente  era  data dal fatto chela Turchia essendo collocata tra l’Europa e il Medio Oriente, aveva avuto un passato travagliato, era infatti spesso invasa da eserciti nemici.
Secondo gli studiosi la città sotterranea di Derinkuyu fu costruita fra l’8000 e il 1400 a.C. per permettere alla gente del posto di nascondersi dagli invasori.
Gli uomini che costruirono le città nel sottosuolo probabilmente crearono prima i camini di aerazione per poi completare il lavoro costruendo locali e stanze collegati fra loro tramite corridoi e gallerie. Alle estremità di queste ultime venivano posti massi pesanti fino a 500 chili che potevano essere chiusi solo dall’interno impedendo a chiunque l’accesso.
Sotto Derinkuyu  fino ad ora sono stati scoperti venti livelli sotterranei, sono aperti al pubblico solo otto livelli superiori poichè alcuni sono bloccati ed altri sono riservati ad antropologi e archeologi che stanno studiando l’immensa città. Sono stati scoperti diversi locali, centri religiosi, una scuola, cantine, sale da pranzo, stalle per il bestiame,  grandi camere rocciose che potevano contenere circa 20.000 persone.
Secondo Alan Weisman, autore del libro “The world without us”,  anche se la razza umana sparisse le città nel sottosuolo della Cappadocia avrebbero buone possibilità di continuare ad esistere. Lo scrittore sostiene che nessuno è a conoscenza del numero effettivo delle città che si trovano sotto l’Anatolia. Fino ad oggi ne sono state ritrovate dieci fra le quali spiccano per la loro grandezza le città sotterranee di  Derinkuyu e Tatlarin.

 

 

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L’impronta fossile

Nell’estate del 1968 nei pressi di Antelope Springs (Utah) William J. Meister, un geologo collezionista di fossili e Mr. Francis Shape, durante una campagna di scavo trovarono diversi fossili di trilobiti (piccoli animali invertebrati marini originatisi nel periodo cambriano che iniziò circa 590 milioni di anni fa e durò 80 milioni di anni).
Durante gli scavi Meister aprì una lastra di roccia trovando un’impronta umana fossilizzata.
La roccia si aprì come un libro, su una parte appariva l’impronta di un piede umano, l’altra metà della lastra oltre l’impronta del piede  mostrava anche quella di una calzatura simile ad un sandalo che aveva schiacciato un trilobite vivente. La calzatura, la cui suola mostrava chiaramente la sporgenza del tacco, era lunga  26,03 cm e larga 8,9 cm.
Il 4 luglio 1968 Meister si recò sul luogo della scoperta con il dottor Clarence Coombs, del Columbia Union College e con il geologo Maurice Carlisle, dell’Università del Colorado.
Carlisle dopo aver scavato per due ore trovò uno strato di fango che un tempo si trovava in superficie. Il geologo capì che era il tipo di formazione che permetteva la conservazione di tracce fossili. Lo strato di roccia con l’impronta umana appareteneva al periodo del Cambriano.
Quando Meister diede la notizia della scoperta la scienza ufficiale si dimostrò scettica ferma sostenitrice che le origini dell’uomo moderno, ovvero dell’Homo sapiens, risalissero a circa 200.000 anni fa in Africa.
Due ricercatori americani, Richard Leslie Thompson e Michael Cremo, secondo i quali le origini dell’uomo sarebbero collegate a civiltà extraterrestri, studiarono l’impronta concludendo che si trattava di un reperto veritiero.
Il fossile dunque potrebbe essere la testimonianza della presenza di un’antica civiltà umana o extraterrestre.

Nella Bibbia ebraica si parla di Elohim una parola che solitamente indica “Dio”, ma se usata con verbi e aggettivi al plurale il suo significato cambia in “dei”.
Secondo alcuni studiosi gli ebrei non furono sempre monoteisti, il monoteismo iniziò tra il 1300 e il 1200 a.C., precedentemente il popolo ebraico era politeista.
La parola “dei” potrebbe indicare la presenza di creature di altri mondi che contribuirono a creare la razza umana, come raccontano alcuni contattati fra i quali Eugenio Siragusa e Maurizio Cavallo.
Quest’ultimo sostiene che circa 180 milioni di anni fa, l’uomo fu creato a immagine e somiglianza degli dei, alieni che eseguirono manipolazioni genetiche su un essere acquatico.

Il 20 luglio del 1968 ad Antelope Springs ci fu un’altra scoperta da parte di Clifford Burdick, un geologo di Tucson. Trovò una roccia che mostrava l’impronta di un piede di un bambino.
Burdick disse:”Il segno era di circa 6 pollici in lunghezza, con le dita estese, come se il ragazzo non avesse mai calzato scarpe, le quali, al contrario, comprimono generalmente le dita. Queste invece non appaiono essere molto inarcate, e il dito grande non è prominente”.
Circa un mese dopo, sempre ad Antelope Springs, un insegnante di Salt Lake City, Mr. Dean Bitter, scoprì altre due impronte di calzature.
Furono esaminate da un professore di metallurgia dell’Università dello Utah, Melvin Cook, che notando la presenza di un trilobite accanto alla roccia che aveva conservato le impronte, capì che si trattava di reperti dell’epoca del Cambriano.

Nel libro “Archeologia Proibita: la storia segreta della razza umana” gli scrittori Richard Leslie Thompson e Michael Cremo affermano che l’essere umano non ha origine dagli ominidi poiché sono due razze ben diverse. Reperti paleontologici e manufatti ritrovati in alcuni siti archeologici sarebbero la prova evidente che le origini dell’uomo risalirebbero a circa tre milioni di anni fa.

Auguriii! :)

Auguro un felice Natale e un bellissimo anno nuovo a tutti. Festeggio questo Natale con un nuovo amico:Tigre, il micio della foto.
Auguri stretti in un grande abbraccio agli amici di blog!

(Post natalizio anche su http://creazionididemetra.iobloggo.com/)

 

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Le lampade di Dendera

Le lampade di Dendera fanno parte della categoria degli OOPArt (ovvero Out Of Place Artifacts che significa reperti fuori posto) che sta ad indicare una tipo di oggetti che per ragioni storiche non sarebbero potuti esistere nell’epoca indicata dalle datazioni radiometriche.
Le lampade sono raffigurate in alcuni bassorilievi egizi che risalgono a più di 4500 anni fa.
La scoperta avvenne nel 1857 nel tempio di Hator a Dendera per opera dell’archeologo francese Auguste Mariette che studiando attentamente le immagini si accorse che poteva trattarsi di rappresentazioni di qualcosa di assai moderno: lampadine.
Annotò accuratamente tali osservazioni sul suo diario personale mentre soggiornava in un albergo del Cairo la sera stessa che venne assassinato.
Nel 1894 l’astronomo e scienziato inglese Joseph Norman Lockyer si interessò dei bassorilievi della cripta del tempio che avevano attirato l’attenzione di Mairette.
Studiandoli si convinse che erano rappresentazioni di lampade elettriche ad incandescenza simili ai tubi di Crookes. Lockyer affermò che anche Crookes sosteneva che gli antichi egizi conoscessero l’elettricità, d’altra parte la sua invenzione avvenne dieci anni dopo la pubblicazione delle immagini dei bassorilievi di Dendera.
Nei bassorilievi sono raffigurati dei sacerdoti che celebrano un rito intorno ad oggetti che l’archeologia ufficiale ha indicato come fiori di loto al cui centro appare un serpente che rappresenta un antico mito egizio legato ad Osiride.
Intorno alle immagini sono nate teorie alternative, il gambo del fiore viene visto come un possibile cavo elettrico, il sostegno che raffigura la colonna dorsale del dio Osiride potrebbe essere l’immagine di un isolatore elettrico, mentre quello che appare un serpente all’interno della lampada dovrebbe essere un filo di un metallo conduttore tipo quello che si trova dentro il vetro delle lampadine.

 

Immagine del bassorilievo originale.

 

Immagine del bassorilievo disegnato su carta.

Guardando attentamente la raffigurazione si nota una certa somiglianza fra il supporto (la colonna dorsale del dio Osiride) e l’isolatore elettrico (elemento che si può vedere spesso nelle linee elettriche) che ha la funzione di isolare le colonne dai cavi dell’alta tensione.

 

Gli antichi egizi erano molto evoluti e ciò porta alcuni studiosi a ipotizzare  che potrebbero aver scoperto la corrente elettrica.
Gli studiosi che sostengono questa ipotesi pongono l’attenzione su alcuni elementi presenti nei bassorilievi come il gambo del fiore di loto di solito assente nelle rappresentazioni egizie visto che appartiene ad un fiore acquatico e quindi rimane sommerso. Oltretutto tale fiore nella maggior parte delle rappresentazioni del tempio, non è mai raffigurato insieme all’immagine di ciò che appare una sorta di contenitore di vetro (tipo la sfera della lampadina).
Altra cosa molto rilevante, in uno dei bassorilievi in questione, è la presenza del dio Thot con coltelli in mano (nelle immagini in alto, il dio è a destra) simbolo che gli egizi utilizzavano solo per indicare un grande pericolo, un ammonimento che non può essere rivolto ad un fiore ne al serpente che nei geroglifici sta ad indicare la parola “seref” che significa appunto “illuminare”.

Le miniere di sale

In Polonia sono presenti diversi giacimenti di salgemma, il più antico d’Europa è quello di Bochnia, scoperto nel 1248.
A circa 10 chilometri da Cracovia, a Wieliczka, si trova un’altra delle più antiche miniere di sale scoperta nel XIII secolo.
Nell’antichità il sale era considerato “oro bianco” veniva usato come mezzo di pagamento ed era un prezioso articolo d’esportazione. Nel Medioevo la ricchezza accumulata grazie al sale permetteva al sovrano di difendere e provvedere alla comunità.
La miniera di Wieliczka che in passato era fonte preziosa per l’economia polacca è diventata nel tempo una grande attrazione turistica. Si estende per più di 300 km attraverso una rete di gallerie e cunicoli e possiede una profondità di 327 metri. Parte di essa, circa 3,5 km, è aperta al pubblico ed è visitata ogni anno da migliaia di turisti  che rimangono immancabilmente meravigliati dai suoi laghi sotterranei, dalle sue cappelle, dalle sue stanze con bassorilievi in sale, dalle figure storiche e mitiche che i minatori hanno scolpito con sapiente maestria. Dalle statue ai lampadari molte cose furono scolpite nel sale da quando nel 1697 andò in fiamme una delle cappelle con conseguente divieto di arredare con materiali infiammabili.
La cappella più famosa della miniera è quella dedicata a Santa Kinga (foto sopra) a 101 metri di profondità, in ricordo della figlia del re ungherese Bela IV a cui fu riconosciuta la scoperta del giacimento.
In passato la miniera fu visitata da noti personaggi che ne apprezzarono la grande bellezza, Nicolò Copernico, Robert Baden-Powell, Johann Wolfgang von Goethe, Karol Wojtyla, ma fu anche usata per scopi tutt’altro che nobili durante la seconda guerra mondiale dalle truppe tedesche per impianti di produzione bellica.
Nel 1978 la miniera di Wieliczka detta anche “la cattedrale di sale sotterranea della Polonia” fu dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
A questa miniera così particolare si interessò il fisico polacco Felix Bochkowsky che studiò il microclima delle grotte di sale notando che i minatori erano meno soggetti alle malattie polmonari rispetto al resto della popolazione. Nel 1843 Bochkowsky affermò:”l’aria delle miniere di sale è ricca di particelle saline che sono il principale effetto curativo nei disturbi respiratori”.
In seguito studi approfonditi evidenziarono che, oltre ai principali benefici sulle vie respiratorie (asma, sinusiti, bronchiti ecc.), il clima delle miniere era ricco di ioni negativi che favorivano la buona salute rinvigorendo il corpo e rinforzando il sistema immunitario.
Nei paesi come Polonia, Russia, Germania, per il particolare clima salutare delle miniere ormai inattive, sono sorte delle stazioni climatiche aperte al pubblico.
In Europa si stanno lentamente diffondendo centri di haloterapia (“halos” deriva dal greco, significa sale), locali simili a grotte ricoperti interamente di sale in cui si respira cloruro di sodio medicale traendone giovamento.
A Roma Beata Skrzypek e Tamara Bronicka, madre e figlia di origini polacche, legate alla cultura della loro patria hanno creato Salbea, una grotta di sale con stallattiti e cascate, unica nella capitale. E’ stato ricreato il prezioso microclima delle miniere usando i sali del Mar Morto e i sali di Wieliczka. Le pietre di sale con cui è stata creata la grotta provengono dalle miniere di Klodawa e da una vena Himalayana nella regione del Kashmir.

Il Sucuriju

Il 20 agosto del 2007 una singolare notizia giunse dalla città di Nueva Tacna sul Rio delle Amazzoni. Gli abitanti della zona furono sconvolti dal passaggio di un serpente lungo circa 40 metri che attraversando l’abitato causò molti danni per poi gettarsi nel fiume in cui distrusse diverse imbarcazioni. Anche se la notizia venne accolta con un certo scetticismo non si poté fare a meno di notare lo spavento e il conseguente rifiuto degli abitanti del posto che non volevano tornare nelle proprie case a meno che le autorità non li avessero tutelati.
Dopo qualche mese il tratto del Rio delle Amazzoni fu perlustrato da motovedette, mentre il governatore della regione accompagnato dal comandante della Regione Navale Amazzonica e da alcuni giornalisti, controllarono il luogo a bordo di un idrovolante. Si resero conto che qualsiasi cosa fosse passata in quella zona aveva lasciato dietro di se dei danni enormi.
In Italia la notizia arrivò tramite il Tg2, ma non ebbe l’attenzione meritata e fu dimenticata velocemente.
D’altra parte la foresta amazzonica ha da sempre ospitato esemplari di anaconda gigante.
L’enorme serpente costrittore (cioè che uccide le prede avvolgendole nelle sue spire) è chiamato Sucuriju dagli indigeni del posto.
Nel 1907 ne fu catturato uno di 10 metri e sempre nello stesso anno l’esploratore inglese Percy Fawcett fu il primo europeo a trovarsi di fronte al Sucuriju, almeno da quanto raccontò. Fawcett affermò di aver ucciso un serpente enorme lungo 19 metri sulle sponde del Rio Negro, ma per quanto godesse di una certa reputazione non venne creduto poiché il fatto non venne accompagnato da nessuna prova.
L’esploratore scomparve in Brasile nel 1925 durante un viaggio intrapreso alla ricerca di tracce che comprovassero l’esistenza di una mitica civiltà antidiluviana.
Dopo quella di Fawcett ci furono altre testimonianze di incontri con le enormi creature. Nel 1922 il missionario tedesco Victor Heinz vide un grandissimo serpente vicino alla città di Obidos, sulle rive del Rio delle Amazzoni. Heinz raccontò che il corpo possedeva una lunghezza di circa ottanta metri.
Nel 1929 ebbe un secondo incontro alla foce del Rio Piaba, in acqua notò due grandi luci. La gente del posto gli disse che probabilmente erano gli occhi dell’anaconda gigante che viveva in quella zona. Il missionario raccolse diverse storie di persone che si erano trovate di fronte al leggendario Sucuriju.
Nel 1933 alcune tribù locali si discussero il merito dell’uccisione di un rettile talmente grande e pesante di cui non si riusciva a sollevare neanche la sola testa.
A Manaus nel 1948 fu ucciso un Sucuriju. Fu fotografato e misurato. La lunghezza era di 40 metri per un peso di circa 5 tonnellate, un esemplare imponente che avrebbe meritato una certa attenzione da parte degli studiosi, ma prima che questi potessero vederlo per esaminarlo, la carcassa si decompose.
Tra il XIX e il XX secolo il Giardino Zoologico di S. Paolo in Brasile ospitò un’anaconda che misurava circa 10 metri (foto sottostante). I suoi resti sono conservati all’Istituto Butantan di S. Paolo.
L’immensa foresta amazzonica potrebbe nascondere con estrema facilità animali di grandi dimensioni ai quali non mancherebbe neanche cibo.

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Auguri amici

Quest’anno ho disegnato i sette nani colorati a tempera per mia madre (un lavoretto che mi ha tenuta sveglia per qualche notte). Voglio dedicarlo agli amici di blog che mi regalano la loro costante bella compagnia durante l’anno.
A tutti quanti auguro un festoso Natale e un sereno anno nuovo!

Auguri a tutti amici e visitatori, un grande abbraccio 

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