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Auguri!

Prendendo spunto dalla serenità che trasmette questo delizioso personaggio Disney che ho disegnato per mia madre, auguro agli amici di blog un felicissimo Natale e un anno nuovo pieno di belle novità! 

Un grande abbraccio a tutti voi!! 

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Derinkuyu

La Cappadocia, una regione della Turchia, ha una formazione geologica principalmente composta da tufo, ciò ha consentito all’uomo di ricavare le sue abitazioni dalla roccia creando insediamenti rupestri che formano singolari paesaggi.
Nel 1963 a Derinkuyu, una città della Cappadocia, in seguito ad una ristrutturazione ci fu una grande scoperta. Aprendo la parete di una grotta venne alla luce un passaggio che portava verso un’antica città sotterranea che si trovava a circa 85 metri di profondità, la più grande della Turchia, più vasta di quella che era stata scoperta sotto la vicina  Kaymakli.
La presenza di queste grandi città sotterranee probabilmente  era  data dal fatto chela Turchia essendo collocata tra l’Europa e il Medio Oriente, aveva avuto un passato travagliato, era infatti spesso invasa da eserciti nemici.
Secondo gli studiosi la città sotterranea di Derinkuyu fu costruita fra l’8000 e il 1400 a.C. per permettere alla gente del posto di nascondersi dagli invasori.
Gli uomini che costruirono le città nel sottosuolo probabilmente crearono prima i camini di aerazione per poi completare il lavoro costruendo locali e stanze collegati fra loro tramite corridoi e gallerie. Alle estremità di queste ultime venivano posti massi pesanti fino a 500 chili che potevano essere chiusi solo dall’interno impedendo a chiunque l’accesso.
Sotto Derinkuyu  fino ad ora sono stati scoperti venti livelli sotterranei, sono aperti al pubblico solo otto livelli superiori poichè alcuni sono bloccati ed altri sono riservati ad antropologi e archeologi che stanno studiando l’immensa città. Sono stati scoperti diversi locali, centri religiosi, una scuola, cantine, sale da pranzo, stalle per il bestiame,  grandi camere rocciose che potevano contenere circa 20.000 persone.
Secondo Alan Weisman, autore del libro “The world without us”,  anche se la razza umana sparisse le città nel sottosuolo della Cappadocia avrebbero buone possibilità di continuare ad esistere. Lo scrittore sostiene che nessuno è a conoscenza del numero effettivo delle città che si trovano sotto l’Anatolia. Fino ad oggi ne sono state ritrovate dieci fra le quali spiccano per la loro grandezza le città sotterranee di  Derinkuyu e Tatlarin.

 

 

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L’impronta fossile

Nell’estate del 1968 nei pressi di Antelope Springs (Utah) William J. Meister, un geologo collezionista di fossili e Mr. Francis Shape, durante una campagna di scavo trovarono diversi fossili di trilobiti (piccoli animali invertebrati marini originatisi nel periodo cambriano che iniziò circa 590 milioni di anni fa e durò 80 milioni di anni).
Durante gli scavi Meister aprì una lastra di roccia trovando un’impronta umana fossilizzata.
La roccia si aprì come un libro, su una parte appariva l’impronta di un piede umano, l’altra metà della lastra oltre l’impronta del piede  mostrava anche quella di una calzatura simile ad un sandalo che aveva schiacciato un trilobite vivente. La calzatura, la cui suola mostrava chiaramente la sporgenza del tacco, era lunga  26,03 cm e larga 8,9 cm.
Il 4 luglio 1968 Meister si recò sul luogo della scoperta con il dottor Clarence Coombs, del Columbia Union College e con il geologo Maurice Carlisle, dell’Università del Colorado.
Carlisle dopo aver scavato per due ore trovò uno strato di fango che un tempo si trovava in superficie. Il geologo capì che era il tipo di formazione che permetteva la conservazione di tracce fossili. Lo strato di roccia con l’impronta umana appareteneva al periodo del Cambriano.
Quando Meister diede la notizia della scoperta la scienza ufficiale si dimostrò scettica ferma sostenitrice che le origini dell’uomo moderno, ovvero dell’Homo sapiens, risalissero a circa 200.000 anni fa in Africa.
Due ricercatori americani, Richard Leslie Thompson e Michael Cremo, secondo i quali le origini dell’uomo sarebbero collegate a civiltà extraterrestri, studiarono l’impronta concludendo che si trattava di un reperto veritiero.
Il fossile dunque potrebbe essere la testimonianza della presenza di un’antica civiltà umana o extraterrestre.

Nella Bibbia ebraica si parla di Elohim una parola che solitamente indica “Dio”, ma se usata con verbi e aggettivi al plurale il suo significato cambia in “dei”.
Secondo alcuni studiosi gli ebrei non furono sempre monoteisti, il monoteismo iniziò tra il 1300 e il 1200 a.C., precedentemente il popolo ebraico era politeista.
La parola “dei” potrebbe indicare la presenza di creature di altri mondi che contribuirono a creare la razza umana, come raccontano alcuni contattati fra i quali Eugenio Siragusa e Maurizio Cavallo.
Quest’ultimo sostiene che circa 180 milioni di anni fa, l’uomo fu creato a immagine e somiglianza degli dei, alieni che eseguirono manipolazioni genetiche su un essere acquatico.

Il 20 luglio del 1968 ad Antelope Springs ci fu un’altra scoperta da parte di Clifford Burdick, un geologo di Tucson. Trovò una roccia che mostrava l’impronta di un piede di un bambino.
Burdick disse:”Il segno era di circa 6 pollici in lunghezza, con le dita estese, come se il ragazzo non avesse mai calzato scarpe, le quali, al contrario, comprimono generalmente le dita. Queste invece non appaiono essere molto inarcate, e il dito grande non è prominente”.
Circa un mese dopo, sempre ad Antelope Springs, un insegnante di Salt Lake City, Mr. Dean Bitter, scoprì altre due impronte di calzature.
Furono esaminate da un professore di metallurgia dell’Università dello Utah, Melvin Cook, che notando la presenza di un trilobite accanto alla roccia che aveva conservato le impronte, capì che si trattava di reperti dell’epoca del Cambriano.

Nel libro “Archeologia Proibita: la storia segreta della razza umana” gli scrittori Richard Leslie Thompson e Michael Cremo affermano che l’essere umano non ha origine dagli ominidi poiché sono due razze ben diverse. Reperti paleontologici e manufatti ritrovati in alcuni siti archeologici sarebbero la prova evidente che le origini dell’uomo risalirebbero a circa tre milioni di anni fa.

Auguriii! :)

Auguro un felice Natale e un bellissimo anno nuovo a tutti. Festeggio questo Natale con un nuovo amico:Tigre, il micio della foto.
Auguri stretti in un grande abbraccio agli amici di blog!

(Post natalizio anche su http://creazionididemetra.iobloggo.com/)

 

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Le lampade di Dendera

Le lampade di Dendera fanno parte della categoria degli OOPArt (ovvero Out Of Place Artifacts che significa reperti fuori posto) che sta ad indicare una tipo di oggetti che per ragioni storiche non sarebbero potuti esistere nell’epoca indicata dalle datazioni radiometriche.
Le lampade sono raffigurate in alcuni bassorilievi egizi che risalgono a più di 4500 anni fa.
La scoperta avvenne nel 1857 nel tempio di Hator a Dendera per opera dell’archeologo francese Auguste Mariette che studiando attentamente le immagini si accorse che poteva trattarsi di rappresentazioni di qualcosa di assai moderno: lampadine.
Annotò accuratamente tali osservazioni sul suo diario personale mentre soggiornava in un albergo del Cairo la sera stessa che venne assassinato.
Nel 1894 l’astronomo e scienziato inglese Joseph Norman Lockyer si interessò dei bassorilievi della cripta del tempio che avevano attirato l’attenzione di Mairette.
Studiandoli si convinse che erano rappresentazioni di lampade elettriche ad incandescenza simili ai tubi di Crookes. Lockyer affermò che anche Crookes sosteneva che gli antichi egizi conoscessero l’elettricità, d’altra parte la sua invenzione avvenne dieci anni dopo la pubblicazione delle immagini dei bassorilievi di Dendera.
Nei bassorilievi sono raffigurati dei sacerdoti che celebrano un rito intorno ad oggetti che l’archeologia ufficiale ha indicato come fiori di loto al cui centro appare un serpente che rappresenta un antico mito egizio legato ad Osiride.
Intorno alle immagini sono nate teorie alternative, il gambo del fiore viene visto come un possibile cavo elettrico, il sostegno che raffigura la colonna dorsale del dio Osiride potrebbe essere l’immagine di un isolatore elettrico, mentre quello che appare un serpente all’interno della lampada dovrebbe essere un filo di un metallo conduttore tipo quello che si trova dentro il vetro delle lampadine.

 

Immagine del bassorilievo originale.

 

Immagine del bassorilievo disegnato su carta.

Guardando attentamente la raffigurazione si nota una certa somiglianza fra il supporto (la colonna dorsale del dio Osiride) e l’isolatore elettrico (elemento che si può vedere spesso nelle linee elettriche) che ha la funzione di isolare le colonne dai cavi dell’alta tensione.

 

Gli antichi egizi erano molto evoluti e ciò porta alcuni studiosi a ipotizzare  che potrebbero aver scoperto la corrente elettrica.
Gli studiosi che sostengono questa ipotesi pongono l’attenzione su alcuni elementi presenti nei bassorilievi come il gambo del fiore di loto di solito assente nelle rappresentazioni egizie visto che appartiene ad un fiore acquatico e quindi rimane sommerso. Oltretutto tale fiore nella maggior parte delle rappresentazioni del tempio, non è mai raffigurato insieme all’immagine di ciò che appare una sorta di contenitore di vetro (tipo la sfera della lampadina).
Altra cosa molto rilevante, in uno dei bassorilievi in questione, è la presenza del dio Thot con coltelli in mano (nelle immagini in alto, il dio è a destra) simbolo che gli egizi utilizzavano solo per indicare un grande pericolo, un ammonimento che non può essere rivolto ad un fiore ne al serpente che nei geroglifici sta ad indicare la parola “seref” che significa appunto “illuminare”.

Le miniere di sale

In Polonia sono presenti diversi giacimenti di salgemma, il più antico d’Europa è quello di Bochnia, scoperto nel 1248.
A circa 10 chilometri da Cracovia, a Wieliczka, si trova un’altra delle più antiche miniere di sale scoperta nel XIII secolo.
Nell’antichità il sale era considerato “oro bianco” veniva usato come mezzo di pagamento ed era un prezioso articolo d’esportazione. Nel Medioevo la ricchezza accumulata grazie al sale permetteva al sovrano di difendere e provvedere alla comunità.
La miniera di Wieliczka che in passato era fonte preziosa per l’economia polacca è diventata nel tempo una grande attrazione turistica. Si estende per più di 300 km attraverso una rete di gallerie e cunicoli e possiede una profondità di 327 metri. Parte di essa, circa 3,5 km, è aperta al pubblico ed è visitata ogni anno da migliaia di turisti  che rimangono immancabilmente meravigliati dai suoi laghi sotterranei, dalle sue cappelle, dalle sue stanze con bassorilievi in sale, dalle figure storiche e mitiche che i minatori hanno scolpito con sapiente maestria. Dalle statue ai lampadari molte cose furono scolpite nel sale da quando nel 1697 andò in fiamme una delle cappelle con conseguente divieto di arredare con materiali infiammabili.
La cappella più famosa della miniera è quella dedicata a Santa Kinga (foto sopra) a 101 metri di profondità, in ricordo della figlia del re ungherese Bela IV a cui fu riconosciuta la scoperta del giacimento.
In passato la miniera fu visitata da noti personaggi che ne apprezzarono la grande bellezza, Nicolò Copernico, Robert Baden-Powell, Johann Wolfgang von Goethe, Karol Wojtyla, ma fu anche usata per scopi tutt’altro che nobili durante la seconda guerra mondiale dalle truppe tedesche per impianti di produzione bellica.
Nel 1978 la miniera di Wieliczka detta anche “la cattedrale di sale sotterranea della Polonia” fu dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
A questa miniera così particolare si interessò il fisico polacco Felix Bochkowsky che studiò il microclima delle grotte di sale notando che i minatori erano meno soggetti alle malattie polmonari rispetto al resto della popolazione. Nel 1843 Bochkowsky affermò:”l’aria delle miniere di sale è ricca di particelle saline che sono il principale effetto curativo nei disturbi respiratori”.
In seguito studi approfonditi evidenziarono che, oltre ai principali benefici sulle vie respiratorie (asma, sinusiti, bronchiti ecc.), il clima delle miniere era ricco di ioni negativi che favorivano la buona salute rinvigorendo il corpo e rinforzando il sistema immunitario.
Nei paesi come Polonia, Russia, Germania, per il particolare clima salutare delle miniere ormai inattive, sono sorte delle stazioni climatiche aperte al pubblico.
In Europa si stanno lentamente diffondendo centri di haloterapia (“halos” deriva dal greco, significa sale), locali simili a grotte ricoperti interamente di sale in cui si respira cloruro di sodio medicale traendone giovamento.
A Roma Beata Skrzypek e Tamara Bronicka, madre e figlia di origini polacche, legate alla cultura della loro patria hanno creato Salbea, una grotta di sale con stallattiti e cascate, unica nella capitale. E’ stato ricreato il prezioso microclima delle miniere usando i sali del Mar Morto e i sali di Wieliczka. Le pietre di sale con cui è stata creata la grotta provengono dalle miniere di Klodawa e da una vena Himalayana nella regione del Kashmir.

Il Sucuriju

Il 20 agosto del 2007 una singolare notizia giunse dalla città di Nueva Tacna sul Rio delle Amazzoni. Gli abitanti della zona furono sconvolti dal passaggio di un serpente lungo circa 40 metri che attraversando l’abitato causò molti danni per poi gettarsi nel fiume in cui distrusse diverse imbarcazioni. Anche se la notizia venne accolta con un certo scetticismo non si poté fare a meno di notare lo spavento e il conseguente rifiuto degli abitanti del posto che non volevano tornare nelle proprie case a meno che le autorità non li avessero tutelati.
Dopo qualche mese il tratto del Rio delle Amazzoni fu perlustrato da motovedette, mentre il governatore della regione accompagnato dal comandante della Regione Navale Amazzonica e da alcuni giornalisti, controllarono il luogo a bordo di un idrovolante. Si resero conto che qualsiasi cosa fosse passata in quella zona aveva lasciato dietro di se dei danni enormi.
In Italia la notizia arrivò tramite il Tg2, ma non ebbe l’attenzione meritata e fu dimenticata velocemente.
D’altra parte la foresta amazzonica ha da sempre ospitato esemplari di anaconda gigante.
L’enorme serpente costrittore (cioè che uccide le prede avvolgendole nelle sue spire) è chiamato Sucuriju dagli indigeni del posto.
Nel 1907 ne fu catturato uno di 10 metri e sempre nello stesso anno l’esploratore inglese Percy Fawcett fu il primo europeo a trovarsi di fronte al Sucuriju, almeno da quanto raccontò. Fawcett affermò di aver ucciso un serpente enorme lungo 19 metri sulle sponde del Rio Negro, ma per quanto godesse di una certa reputazione non venne creduto poiché il fatto non venne accompagnato da nessuna prova.
L’esploratore scomparve in Brasile nel 1925 durante un viaggio intrapreso alla ricerca di tracce che comprovassero l’esistenza di una mitica civiltà antidiluviana.
Dopo quella di Fawcett ci furono altre testimonianze di incontri con le enormi creature. Nel 1922 il missionario tedesco Victor Heinz vide un grandissimo serpente vicino alla città di Obidos, sulle rive del Rio delle Amazzoni. Heinz raccontò che il corpo possedeva una lunghezza di circa ottanta metri.
Nel 1929 ebbe un secondo incontro alla foce del Rio Piaba, in acqua notò due grandi luci. La gente del posto gli disse che probabilmente erano gli occhi dell’anaconda gigante che viveva in quella zona. Il missionario raccolse diverse storie di persone che si erano trovate di fronte al leggendario Sucuriju.
Nel 1933 alcune tribù locali si discussero il merito dell’uccisione di un rettile talmente grande e pesante di cui non si riusciva a sollevare neanche la sola testa.
A Manaus nel 1948 fu ucciso un Sucuriju. Fu fotografato e misurato. La lunghezza era di 40 metri per un peso di circa 5 tonnellate, un esemplare imponente che avrebbe meritato una certa attenzione da parte degli studiosi, ma prima che questi potessero vederlo per esaminarlo, la carcassa si decompose.
Tra il XIX e il XX secolo il Giardino Zoologico di S. Paolo in Brasile ospitò un’anaconda che misurava circa 10 metri (foto sottostante). I suoi resti sono conservati all’Istituto Butantan di S. Paolo.
L’immensa foresta amazzonica potrebbe nascondere con estrema facilità animali di grandi dimensioni ai quali non mancherebbe neanche cibo.

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Auguri amici

Quest’anno ho disegnato i sette nani colorati a tempera per mia madre (un lavoretto che mi ha tenuta sveglia per qualche notte). Voglio dedicarlo agli amici di blog che mi regalano la loro costante bella compagnia durante l’anno.
A tutti quanti auguro un festoso Natale e un sereno anno nuovo!

Auguri a tutti amici e visitatori, un grande abbraccio 

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Il brusio di Taos

“Il brusio di Taos” (Taos Hum) è un suono a bassa frequenza, compresa tra i 30 e gli 80 Hz, che prende il nome da un luogo del Nuovo Messico. A Taos (foto in alto) iniziò a farsi sentire nel 1991 ed è presente ancora oggi.
Questo tipo di suono fastidioso e continuo in realtà comparve già negli anni settanta a Bristol in Inghilterra e in seguito si sentì in altre zone del mondo.
Nel 1977 arrivarono circa 800 lettere ad un quotidiano inglese, in cui le persone lamentavano problemi di salute a causa del suono: insonnia, ansia, difficoltà motorie e respiratorie, emicranie, epistassi.
Nel 1993, vista l’insostenibile situazione, gli abitanti di Taos decisero di prendere provvedimenti così venne indetta una petizione al Congresso per indagare sullo strano fenomeno. Intervenne un team di esperti diretto da Joe Mullins della New Mexico University, fecero rilevamenti elettromagnetici, acustici, geodinamici.
In seguito ai risultati si escluse l’origine geofisica, e quella della rete elettrica locale, ma non fu comunque possibile scoprire l’origine del suono.
Secondo i risultati dell’inchiesta molti testimoni avvertirono il ronzio con “un inizio brusco, come se un qualche dispositivo fosse attivato”. Si fecero delle ipotesi secondo le quali il suono poteva essere stato originato da onde elettromagnetiche di apparecchi radio e radar che permettevano alla Marina degli Stati Uniti di comunicare con i sottomarini, oppure poteva provenire da installazioni militari in Nuovo Messico.
Fra le persone che udivano il suono alcuni lo descrivevano come un rumore di un motore diesel avviato ad una certa distanza, la cosa singolare era che tale rumore secondo i testimoni, si sentiva più accentuato all’interno degli edifici che non all’esterno.
Ci sono diverse fonti naturali e artificiali che possono generare i suoni a bassa frequenza come le valanghe, le attività vulcaniche o gli impianti industriali, ma tali fenomeni sono stati esclusi nel territorio di Taos.
Il dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica Renato Spagnolo spiegò che :”Gli infrasuoni a più alto contenuto energetico, quelli che si propagano per migliaia di chilometri, hanno tre origini: esplosioni chimiche o nucleari, lanci di missili, voli di jet supersonici”. Fenomeni, quindi, che non erano costantemente presenti. Le persone che percepivano il suono invece lo descrivevano come un ronzio che partiva bruscamente e continuava per lungo tempo.
Il Comune del villaggio gallese di Minffordd fece installare degli strumenti per riuscire ad individuare l’origine del suono, ma senza avere nessun risultato.
Nel 2006 il Dr. Tom Moir dell’Università di Massey, in Auckland, Nuova Zelanda si interessò di un fenomeno simile. Moir aiutato da una delle sue studentesse in grado di udire il suono riuscì a registrarlo grazie a sofisticate apparecchiature. Potè quindi analizzarlo riuscendo a capire che non era un fenomeno elettromagnetico ma acustico ed era più accentuato quando c’era bassa pressione atmosferica, ma le cause che lo provocavano rimasero ignote.
David Baguley, audiologo dell’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge, lavora da diversi anni ad un progetto per alleviare i disturbi di coloro che percepiscono il suono, con un approccio psicologico.
Il suono non sembra cessare ne interessare solo determinate zone del mondo e dal passato ad oggi i casi sono diventati sempre più numerosi, il caso più grave accadde in Gran Bretagna dove ci fu un caso di suicidio a causa del rumore.
Nel tempo le persone che sentivano il costante suono costituirono associazioni e gruppi di sostegno.
Nel 1989 alla Royal Society of Medicine di Londra fu tenuta la prima conferenza sul singolare fenomeno.
Dopo anni di indagini e studi fatti per capire le cause che possono averlo scatenato non si è ancora giunti ad una conclusione.
E se le ragioni rimangono ignote le ipotesi invece non mancano, dai segnali radio a basse frequenze usati nelle basi militari, ai suoni di origine aliena percepiti solo da coloro che in passato erano stati rapiti dagli extraterrestri, fino a giungere ad un modo in cui la Terra cerca di comunicare con gli umani più ricettivi.

I Dogon

 

L’Africa ha da sempre ospitato popoli che detengono antiche e affascinanti tradizioni come nel caso dei Dogon, un popolo di circa 240.000 unità che vive nella savana sudanese della repubblica del Mali.
Abili nella metallurgia e nella scultura, vivono di agricoltura coltivando prevalentemente miglio.
Molti anni fa due antropologi francesi, Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, si interessarono di questo antico popolo, li studiarono dal 1931 al 1952.
Griaule nel 1936 parlò con hôgon Ogotemmêli (hôgon sta per capo religioso) riuscendo ad avere molte informazioni sulla loro religione e sulle loro tradizioni cosmogoniche.
Ciò che aveva appreso gli permise di scrivere uno dei saggi più conosciuti dell’antropologia classica: “Dieu d’eau” (“Dio d’acqua”).
Griaule e Dieterlen scoprirono che i Dogon avevano conoscenze sul sistema di Sirio, sapevano della stella compagna (Sirio B una nana bianca che non poteva essere vista senza un’adeguata apparecchiatura), della materia molto pesante che la componeva e che orbitava intorno a Sirio con un periodo di 50 anni.
I due antropologi seguirono con interesse la celebrazione del più importante evento religioso dei Dogon, il Sigui, che secondo loro era collegato alla stella di Sirio (una stella molto luminosa essendo una delle più vicine alla Terra).
Durante il Sigui veniva rappresentata la perdita dell’immortalità dell’uomo tramite la rievocazione della  morte del primo antenato, il primo uomo morto e poi resuscitato in forma di serpente: Dyongu Seru. I Dogon lo rappresentavano con una maschera alta circa 10 metri, intagliata a forma di serpente.
La scoperta di Sirio B fu fatta nel 1862, ma in base agli studi fatti da Griaule e Dieterlen i Dogon sapevano della sua esistenza già da molto tempo, la chiamavano “Po Tolo”, “tolo” significava “stella” mentre “po” stava ad indicare il seme di un cereale che aveva la particolarità di essere molto pesante nonostante piccolo. Un nome appropriato per Sirio B che essendo una nana bianca possedeva una densità elevata, un nome che i sacerdoti Dogon avevano scelto accuratamente visto che affermavano che la materia che componeva Po Tolo era “più pesante di tutto il ferro della Terra”.
Il sacerdote che parlò con Griaule gli raccontò di una terza stella nel sistema di Sirio: “La stella Emmeia o Sorgo Femmina è più grande e quattro volte più
leggera di Po Tolo e viaggia su una traiettoria maggiore nella stessa direzione.
È proprio Sorgo Femmina la sede delle anime di tutti gli esseri, viventi e futuri”.
Sirio C, una nana rossa, fu scoperta solo nel 1995. La stella orbitava intorno a Sirio A in un periodo di 6 anni e possedeva, rispetto ad essa, una luminosità assai minore, tanto che la luce emanata della stella principale nascondeva la sua.
Oltre il sistema di Sirio i Dogon avevano altre conoscenze astronomiche. Sapevano che la Terra era sferica e ruotava intorno al proprio asse e, insieme ad altri pianeti, intorno al Sole. Conoscevano anche Giove con le sue quattro lune principali e Saturno che veniva raffigurato dai sacerdoti con due cerchi concentrici.
Conoscenze che i Dogon affermavano essere state trasmesse dai Nommo, creature per metà umane e per metà pesci, esseri anfibi inviati da Sirio sulla Terra per il bene dell’umanità. Venivano considerate creature semidivine ed erano chiamate in diversi modi: i Padri dell’Acqua, i Guardiani, i Maestri.
Raggiunsero la Terra con una grande arca circolare che atterrando provocò una forte tempesta di sabbia.
Griaule venne a sapere dell’evento dalle parole del sacerdote: “Il dio dell’universo Amma aveva mandato sulla Terra il Nommo.
Il Nommo atterrò nell’arida valle della volpe. Mentre la sua arca scendeva, un’enorme nuvola di polvere si alzò dal terreno. Il Nommo era rosso come il fuoco, ma quando atterrò divenne bianco. Intanto, una stella era apparsa nel cielo, ma sparì quando il Nommo se ne andò.”
Creature simili erano presenti anche nelle tradizioni di altre civiltà: la dea Iside degli Egizi, Oannes di Babilonia, Ea di Accadia, Enki dei Sumeri.
Per i Dogon anche le conoscenze astronomiche aquisite da questi popoli provenivano dai Nommo.
Servendosi delle interessanti osservazioni di Griaule e Dieterlen, nel 1975 lo scrittore Robert Temple pubblicò il libro “The Sirius mystery” (Il Mistero di Sirio).
Visto l’ipotetico collegamento della principale cerimonia religiosa dei Dogon a Sirio A, Temple calcolò che i Dogon conoscevano Sirio B da circa 400 anni. La cerimonia infatti si svolgeva una volta ogni 50 anni (che sarebbe il periodo in cui Sirio B orbita intorno a Sirio A) e in occasione di ogni evento veniva creata una maschera cerimoniale che veniva posta in una caverna. Furono rinvenute sei maschere, oltre queste erano presenti due cumuli di polvere che avrebbero potuto essere altre due maschere.
Temple calcolò il numero dei manufatti per ogni evento religioso (50 anni) il totale che ottenne era di 400 anni, si tornava indietro di 4 secoli.
Secondo Temple i Dogon erano i discendenti di un antico popolo mediterraneo, i Garamanti che ebbero scambi commerciali e culturali con gli Egizi e gli
Assiro-Babilonesi. Grazie a questi popoli, che in un remoto passato avrebbero interagito con un’avanzata civiltà che proveniva dal sistema stellare di Sirio, i Garamanti acquisirono le loro conoscenze astro-cosmogoniche.
Sia in Egitto che in Mesopotamia, non a caso, furono ritrovate statuine e raffigurazioni (nonchè antichi testi) di esseri anfibi come la dea siriana della fertilità Atargatis, metà donna e metà pesce e Oannes l’uomo-pesce proveniente dal mare che si stabilì nei pressi di Babilonia insegnando agli uomini la scienza, le lettere e le arti.
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